Intervista a Massimo delle Cese di Duilio Meucci
- Duilio Meucci: Cos’è il virtuosismo per Massimo Delle Cese?
Massimo Delle Cese: Il virtuosismo sicuramente non è più quello limitato al funambolismo strumentale, come fino a qualche decennio fa. Secondo me il virtuosismo vero è la capacità di trasformare in emozioni ciò che stiamo suonando. Il virtuosismo è una magia!
Le mani, naturalmente, devono funzionare, ma è l’emozione la vera cifra di un artista. All’ascolto dei grandi io mi commuovo!.
- Quale è stato il tuo percorso musicale e artistico? Come hai intrapreso lo studio della musica?
Ho cominciato come la maggior parte dei ragazzini per caso.
Da bambino mio zio, di ritorno dalla Spagna, mi regalò una chitarrina; un giorno ero ammalato e siccome a mia madre piaceva molto la colonna sonora del film di Claude Lelouch “Un uomo, una donna” cominciai suonarla ad orecchio su una sola corda.
Mio padre, che all’epoca era un pilota dell’Alitalia, sempre per caso, incontrò su un volo diretto verso il Sud America Mario Gangi, strinse amicizia con lui.
Un giorno venne a casa per ascoltarmi e disse a mio padre che avrebbe dovuto farmi studiare perché ero bravo, e mi indirizzò al conservatorio dal maestro Carfagna, perché lui non dava lezioni private, poiché, oltre ad insegnare al Conservatorio di Napoli, era ancora impegnato con l’orchestra della RAI e con la sua notevole attività concertistica.
Così iniziai con Carlo Carfagna, e dopo il conservatorio ho ripreso gli studi con Mario Gangi.
Sono rimasto però molto affezionato a Carlo e a quel periodo, di cui conservo bellissimi ricordi.
Poi ho proseguito a lavorare con Gangi e ho fatto dei corsi di perfezionamento.
A 18 anni ho incontrato Barrueco ad un concerto a Parigi e mi sono letteralmente appassionato al suo modo di suonare.
Il concerto fu eccezionale, eseguì una 4a suite di J.S.Bach straordinaria, aveva ragione Sergio Assad a dire che c’era una chitarra prima e una chitarra dopo di lui è stato un vero spartiacque.
L’anno dopo mi sono diplomato e sono andato in Francia, poi in Danimarca a fare dei corsi di perfezionamento.
Tra l’altro ebbi modo di approfondire bene con lui lo studio perché una volta i corsi erano molto lunghi, non come i 5/6 giorni di quelli odierni e....costavano anche meno!
Poco tempo fa una mia amica mi ha mandato una foto di uno di quei corsi: eravamo circa 150, una cosa inimmaginabile, oggi.
Ricordo i tempi di Castres, con i corsi organizzati da R.Vidal.
- Con chi hai fatto il corso di perfezionamento in Francia?
Con Barrueco, che veniva per la prima volta in Europa a fare una master, e non si aspettava una tale affluenza. Vi furono 2 giorni di selezioni!
Manuel ti da un’emozione altissima. Esprime tutta la competenza, anche se a volte vola così in alto cha passa al di sopra di molti ascoltatori, perché io credo che per comprendere le cose fino in fondo un po’ bisogna conoscerle. A volte il pubblico si aspetta brani come Adelita o Giochi Proibiti, un repertorio... diciamo... leggero, e stenta a capire i veri valori di un certo tipo di repertorio.
Io credo che certe raffinatezze sulla chitarra sono nate proprio con lui perché ha un modo di rispettare la musica a prescindere dallo strumento.
Secondo me non è stato completamente capito da molti musicisti, sicuramente non come quanto dai chitarristi, perché purtroppo di musicisti poco raffinati ce ne sono molti in giro.
Lui si danna per essere diventato famoso per una pubblicità che fece (per la Lexus, una marca di automobili, ndr) e mi diceva che spesso lo citavano solo per una scala del settimo studio di Villa-Lobos e non per tutte le altre sue interpretazioni.
- Ti sei fermato a Barrueco, o poi hai proseguito con altri docenti?
No, Barrueco è stato l’ultimo scalino, e l’ho poi seguito per 3-4 anni.
Precedentemente avevo fatto altri corsi: sai, la curiosità a 18/21 anni è grande. Ad Alessandria andai da Betho Davezac, che poi purtroppo ho perso di vista.
Nei corsi con Barrueco c’era anche Roberto Aussel, anche lui molto raffinato, completamente diverso ma anch’egli un grande artista.
Poi ho studiato con Alirio Diaz, qui a Roma.
Però una volta incontrato Barrueco mi sono detto che era quello che mi interessava.
- Parlami del tuo lavoro discografico dedicato all’integrale degli studi di Gangi.
E’ stata un’esperienza molto bella perché già da qualche anno suonavo alcuni dei suoi studi.
Successivamente, visto che in concerto hanno sempre riscosso molto interesse e che continuavano ad essere poco conosciuti - forse anche a causa del fatto che vennero pubblicati come 3a parte del Metodo e non come una pubblicazione separata - ma sempre molto apprezzati, ho deciso di studiarli tutti per poi registrarli.
Alcuni continuo ancora a suonarli perché mi piacciono e piacciono al pubblico. Per quanto riguarda il tipo di scrittura, io la trovo molto valida, anche se eterogenea. Lui usava la “contaminazione”, termine molto di moda oggi, quando, nel 1973, fare un accordo consonante era considerato quasi una bestemmia....
Prima che uscisse il CD feci ascoltare al Maestro tutti gli studi e, ricordo, nel n. 22 avevo fatto una piccola correzione: ascoltandola disse che forse ... forse, gli piaceva più come l’avevo corretta io.....
- A proposito di registrazioni, mi piacciono molto quelle dei brani di Ginastera che avete realizzato col Trio S.Cecilia...
....si, le trascrizioni sono opera dell’altro Massimo del trio, Massimo Aureli, che è un genio e.....l’unico non saperlo è proprio lui .... (si ride tutti).
Aveva una grandissima facilità in queste cose, ricordo che arrivava alle prove con tutte le parti addirittura già diteggiate e, naturalmente, se sbagliavi qualcosa nella lettura, era prontissimo a correggerti e a farti vedere come era la versione esatta....
Era lui che si interessava anche di trovare il repertorio da trascrivere e, devo dire, ha sempre visto giusto.
Studiavamo insieme, anche con Persichetti, al Conservatorio di S.Cecilia di Roma, da qui il nome del trio.
Il trio è stata una bellissima esperienza perché si univano tre personalità assolutamente complementari: io ero il “rompiscatole” accademico, nel senso che ero quello che aveva preso la strada più “classica”, Gianluca è sempre stato appassionato di musica brasiliana ed è diplomato anche in percussioni, e Massimo invece era il tipico eclettico, capace di suonare ogni tipo di chitarra, dalla classica, a quella elettrica, alla chitarra jazz, facendo realmente dell’ottimo jazz.
- Come mai è poi finita questa esperienza?
In realtà nessuno di noi sa bene come e perché sia finita. A Roma c’è un detto, fra i commercianti: le società devono essere in numero dispari di componenti e tre è già troppo (!! si ride...).
Forse perché crescendo abbiamo continuato a conservare comportamenti di quando eravamo giovani e quindi poco alla volta ognuno a continuato per la sua strada ed il gruppo non ha avuto più la capacità di continuare con una ferrea disciplina di impegno specifico (studio, prove, etc.) e quindi si è disgregato, nonostante avessimo cominciato a suonare molto ed avessimo in programma anche altri due cd.
- Visto che abbiamo parlato dell’ambiente chitarristico romano degli anni ‘70/’80, mi viene spontaneo chiederti come vivi oggi tra i chitarristi della tua città?
Adesso la chitarra a Roma si vive in maniera molto più rilassata. Al contrario, quando ero ancora uno studente c’era una forte contrapposizione tra la scuola chitarristica definita “romana “, che faceva capo a M.Gangi e quella di Sergio Notaro.
In realtà questa contrapposizione io non l’ho mai vissuta perché i chitarristi che venivano dalla scuola di Sergio Notaro li ho conosciuti qualche anno dopo.
- Parlami della tua attività come solista, ho letto che sei stato il primo ad esibirti nell’Auditorium Parco della Musica.
Si ho suonato nella sala Sinopoli il Concierto de Aranjuez: è stata un’esperienza fantastica anche se ho avuto qualche problema con l’amplificazione.
- So che affianchi l’attività didattica a quella concertistica.
Sono docente al Conservatorio dell’Aquila ma purtroppo dopo il terremoto, che ha raso al suolo gran parte della struttura, sono costretto a tenere le mie lezioni in giro per le scuole dei dintorni, ad Avezzano e in altri paesi, e qui nella mia Accademia a Roma.
In effetti ho saltato solo due lezioni e sono riuscito, anche grazie all’enorme attaccamento dei ragazzi allo studio della chitarra, a non far perdere loro l’entusiasmo che avevano.
E’, naturalmente, una piccola goccia di sollievo nella grande tragedia che si è avuta, ma cerco di dare il mio contributo a mantenere vive le loro motivazioni.
Certo, per coloro che frequentano i trienni, con tutte le materie da seguire, è un vero problema, con gli insegnamenti sparsi tra Chieti, Bracciano, Roma e via di seguito.....(al momemto dell’intervista, la stupenda nuova struttura didattica del Conservatorio de L’Aquila non era ancora operativa, n.d.r.)...ma siamo in attesa di una nuova struttura, seppur provvisoria.
- Svolgi anche il ruolo di Direttore Artistico del Festival di Cassino?
Si, certo, anche se il motore del Festival è l’infaticabile mio ex allievo Alessandro Minci.
Ricordo che non era ancora diplomato, e già manifestava una grande passione per l’attività organizzativa, così abbiamo iniziato insieme. In effetti io mi sono affiancato a lui per aiutarlo nelle fasi iniziali, soprattutto per gli aspetti burocratici, portando poi anche il mio bagaglio di conoscenze e di contatti nel settore.
- Progetti discografici futuri?
Ho in mente di registrare tutto il mio repertorio (dalla Ciaccona di Bach a Iannarelli, passando per Giuliani, Rodrigo, Barrios ecc ecc.) e farne 2 o 3 CD da mettere in download sul web e poi dar seguito al progetto di un CD dedicato allo stile galante nel quale ci saranno musiche di Scarlatti, Soler, Cimarosa e Galuppi... ho anche intenzione di creare un’etichetta web perché internet ormai è il futuro, anzi il presente!!